Soya, il falso cibo
Maurizio Blondet
05/01/2007 Qualche anno fa, in Svezia, una ragazzina ebbe un attacco d’asma dopo aver mangiato un hamburger in un noto fast-food, e ne morì. Le analisi rivelarono che la causa della morte era la piccola percentuale di soya (2,2 %) contenuta nella carne macinata,che aveva scatenato la fatale reazione anafilattica.Le successive indagini ordinate dal ministero della Sanità hanno appurato che cinque giovanissimi svedesi erano morti per shock da soya tra il 1993 e il 1996 e tutti ne avevano mangiata senza disturbi fino al giorno dell’attacco.Da allora in Svezia si cerca di limitare l’apporto di soya in tutti i bambini asmatici e che presentano altre allergie, specialmente alle noccioline americane.Il fatto ha indotto a riesaminare le meravigliose qualità che la pubblicità attribuisce alla soya: come proteina vegetale digeribilissima, che contrasta il colesterolo cattivo, e che previene il cancro; sostituto ideale per chi soffre di intolleranza al latte; il cibo preferito dai vegetariani; fagiolo della longevità, di cui gli asiatici si alimentano da millenni e a cui devono la loro buona salute... Tutte menzogne, e menzogne pericolose. Anzitutto, se è vero che i cinesi hanno usato la soya «da millenni», è anche vero che l’hanno usata non come cibo ma come fertilizzante naturale del suolo (piantare soya arricchisce la terra di azotati), fino a quando, verso il 264 avanti Cristo, non fu sviluppato in Cina il processo di fermentazione che trasforma la purea di soya in una salsa, nota oggi col nome giapponese di «miso»: un condimento, non un alimento.In seguito, un alchimista cinese scoprì che la pasta di soya, se trattata con clorato di magnesio (un sale di cui sono ricche certe alghe), coagulava: e nacque il «tofu», il formaggio di soya. Ma gli asiatici hanno mangiato il «tofu» solo in piccole quantità e saltuariamente, salvo che in periodi di carestia. In realtà, il consumo quotidiano di soya e dei suoi derivati in Cina, Giappone, Corea ed Indonesia varia tra i 9 e il 36 grammi al giorno: quantità da confrontare con i 240 grammi di una tazza di «latte di soya» e la porzione di tofu (252 grammi) che consuma giornalmente un vegetariano europeo o americano convinto di difendersi così dal colesterolo cattivo e dal tumore.Ma il peggio è che la soya la mangiamo tutti, anche se non vogliamo.Come s’è visto, essa viene aggiunta come legante negli hamburger.Si trova spesso nella carne in scatola e persino nel tonno, in molti biscotti, nelle barrette «energetiche» e dolciarie amate dai bambini; senza dire dei sostituti del latte in polvere per lattanti, molto usati dalle mamme sicure così di far del bene al loro piccino.La soya è onnipresente sulle nostre tavole.La lecitina di soya viene addirittura raccomandata da certi medici come alimentoanti-colesterolo.La stessa proteina viene «testurizzata» per ricavarne un cibo che ha - grazie ad additivi artificiali – il sapore e l’apparenza della carne di manzo o di pollo, e raccomandata per chi deve evitare le proteine animali.Ma la sua produzione avviene con procedimenti industriali piuttosto allarmanti.In pratica, la farina di soya, depurata dal suo grasso, viene spremuta in macchine da estrusione (lo stesso procedimento usato per fabbricare le posate di plastica).La proteina viene isolata dalle altre sostanze mescolando la pasta di soya grezza con una soluzione caustica alcalina, e poi lavata con una soluzione acida per far precipitare la lecitina. Immerso il prodotto di nuovo in una soluzione alcalina, esso viene asciugato a temperatura altissima, e infine «testurizzato» in filamenti, con le stesse procedure usate nell’industria tessile.Questa manipolazione libera il prodotto dalle componenti che provocano flatulenza (si tratta pur sempre di un fagiuolo), ma anche dalle vitamine e dai sali minerali.E la qualità della proteina così «torturata» va a farsi benedire.Per di più, gli scienziati sanno (ma non il pubblico) che la soya contiene tossine e sostanze chiamate «antinutrienti»: per esempio un inibitore della proteasi, l’enzima che consente di digerire le proteine; i «fitati», che bloccano l’assimilazione dei minerali, causano deficienze di calcio e zinco; lectine e saponine provocano disturbi gastro-intestinali.La cosa è così nota che negli allevamenti, che al bestiame alimentato con panelle di soya, la dieta viene arricchita con l’aggiunta di minerali, vitamine e metionina, uno speciale amminoacido: altrimenti gli animali perdono peso.Come hanno appurato in Svezia, la soya è un potente allergenico, che quando non provoca la morte causa però spesso diarrea, disturbi simili al raffreddore, difficoltà di deglutizione.Peggio: 70 anni di studi su animali ed uomini hanno appurato che la dieta a base di soya provoca gravi disturbi alla tiroide.Qui, il componente colpevole è il fito-estrogeno o isoflavone, un ormone vegetale contenuto ad alte dosi nella soya, che è un inibitore dell’attività tiroidea e può causare cancro della tiroide.Il fito-estrogeno pone a rischio lo sviluppo sessuale dei lattanti nutriti con polveri a base di soya come surrogati del latte.L’infertilità delle vacche nutrite con troppa soya è un fenomeno ben noto agli allevatori.Nei bambini, l’estrogeno vegetale può contrastare la crescita dei testicoli e la quantità di sperma nell’adulto; nella bambine, una maturazione sessuale precoce con problemi nella vita adulta, dall’amenorrea alla mancanza di ovulazione.Ma allora chi ha diffuso tutte le favole e i miti sulla soya come «fagiolo del benessere» e della longevità?Il responsabile è uno dei più potenti e segreti «poteri forti» del mondo: le multinazionali cerealicole note come «il Cartello del grano».Si tratta di aziende colossali - Cargill, Continental, Bunge, Louis Dreyfuss, Archer Daniel Midland - dai nomi ignoti al grande pubblico: infatti non sono quotate in Borsa, appartenendo per lo più a singole potenti famiglie.Il loro business consiste principalmente nell’acquisto in blocco di interi raccolti di grano e cereali (ma anche cocco, cacao, olio di palma, arachidi) nei Paesi produttori, Argentina, Brasile, Ucraina, Africa, Australia ed Asia, e nella loro distribuzione mondiale.Il commercio delle granaglie è altamente strategico: negli anni del comunismo, il «Cartello del Grano» ha spesso salvato il regime sovietico dalle sue ricorrenti carestie, facendogli arrivare discretamente immensi carichi di frumento e di mais. Gestito dalla borsa-merci di Chicago, il business è praticamente controllato dalle cinque o sei multinazionali sopracitate, dette anche «Sorelle del Grano».Una di esse in particolare, la Archer Daniel Midland (ADM), ha promosso da decenni la produzione mondiale della soya, ed ha lanciato una enorme campagna per raccomandarla come «proteina della salute».E’ la ADM (che conta 26 mila dipendenti in tutto il mondo) che produce, commercia e pubblicizza il latte di soya che trovate nel supermercato (e che è lo scarto della coagulazione del «tofu»), che promuove l’olio e la margarina di soya come «acido grasso anticolesterolo», e il surrogato della carne fatto con la soya (Nutrisoy).E naturalmente, è sempre la ADM che promuove i congressi medici internazionali che magnificano le qualità salutari della soya, e commissiona gli «studi scientifici» che comprovano le miracolose doti del prodotto e dei sottoprodotti, e che le autorità sanitarie prendono per buoni.Il surplus di produzione della soya è tale, che occorre sempre qualche nuova idea per aumentarne il consumo.L'ultima novità è l’uso della soya per la produzione di diesel e benzina sintetica - etanolo - per cui questi poteri forti sono riusciti a strappare dagli USA forti sussidi ed esenzioni fiscali. Il business è in trionfale espansione.